La Casa e la Famiglia al Prezzo del Ponte: Il Silenzio Assordante sugli Espropri in Sicilia e Calabria

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Domenico Panetta
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L’editoriale del direttore “La voce scomoda”

È davvero singolare, per non dire paradossale, ascoltare i rappresentanti di un partito (Lega) che pone la “casa” e la “famiglia” al centro del proprio discorso politico, mentre in parallelo si spinge con forza un progetto faraonico che queste stesse realtà le sradicherà. Parliamo del Ponte sullo Stretto, un’opera tornata prepotentemente al centro del dibattito nazionale, ma che nasconde un costo umano e sociale che le forze di maggioranza sembrano voler ignorare: la drammatica questione degli espropri.

I Numeri dell’Esproprio

Il progetto del Ponte non è solo acciaio e cemento; è fatto anche di vite stravolte. I dati, spesso taciuti, parlano chiaro e disegnano una mappa di disagi che tocca centinaia di famiglie:

448 unità immobiliari totali coinvolte solo nel Messinese, a cui si aggiungono circa 150 case sulla sponda calabrese di Villa San Giovanni.

Di queste, 291 sono case sul lato siciliano (230 solo a Contrada Margi a Torre Faro e 51 a Contesse), e ben il 60% sono prime case, il vero focolare di queste famiglie.

L’elenco non risparmia neanche l’economia locale, con 120 negozi e attività commerciali che rischiano lo smantellamento. La sacralità del riposo eterno è anch’essa toccata, con la previsione dell’abbattimento di due cappelle del cimitero di Granatari, necessarie per l’ancoraggio dei cavi.

Questi numeri non sono semplici statistiche; sono la storia di famiglie che, per un’infrastruttura di cui si discute l’utilità e la priorità, vedono la propria vita messa in discussione, con indennizzi ancora incerti e una ricollocazione che, come temono i residenti e gli esperti, rischia di essere problematica, soprattutto per le fasce più deboli.

Il Silenzio delle Istituzioni e il Principio di Obiettività

Da parte del partito che più di tutti si fa portavoce dell’opera, e in particolare del Ministro, non c’è alcun accenno pubblico e trasparente a questa problematica. Si parla di sviluppo, di unione e di record ingegneristici, ma si sorvola sulla realtà degli espropriati, ridotti a un mero effetto collaterale da gestire in silenzio.

Come può un partito che sbandiera la difesa dei ceti medi e dei piccoli proprietari, portare avanti un progetto che prima ancora di cominciare sta già danneggiando e sacrificando quei cittadini che dice di voler tutelare?

Non è una questione di colore politico, ma di obiettività e di priorità etica. Il vero problema non è se il ponte sia giusto o sbagliato, ma chi verrà sacrificato sull’altare della sua costruzione. E, in Italia, sono quasi sempre gli stessi: i cittadini comuni, che si ritrovano a dover lottare soli contro l’inerzia di un’opera pubblica.

Lettori, a questo punto, l’interrogativo è vostro: eravate a conoscenza di questa problematica o è stata abilmente celata? Siete dalla parte delle famiglie espropriate o dalla parte del Ministro che procede senza trasparenza sul costo umano?

Il dibattito non può limitarsi al mero “sì” o “no” all’infrastruttura. Deve includere e mettere al centro la dignità di chi paga il prezzo più alto.

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