La triste storia della ministra del Lavoro Calderona e dei cache: tanti soldi per un italiano storpiato dai consulenti

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Domenico Panetta
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Nel cuore di un’Italia alle prese con una crisi economica senza precedenti e un mercato del lavoro sempre più precario, si apre uno squarcio che rivela una realtà inquietante: i fondi pubblici finiscono nelle tasche di consulenti dei Ministri che, spesso, dimostrano di non conoscere nemmeno la nostra lingua madre.

L’ultima polemica nasce da un post pubblicato da uno dei consulenti della ministra del Lavoro, Calderona. In città si sorride.  Lasciamo a voi il compito di ritrovare il post. Un messaggio che avrebbe dovuto promuovere una mappatura degli autovelox, ma che si è trasformato in un esempio di come l’italiano venga quotidianamente depredato e storpiato. La frase incriminata recitava: “un’intervento…necessario per la salvaguardia….”, con un evidente scivolone grammaticale, probabilmente causato dal caldo torrido di questa estate infinita. Un errore che, in un Paese come l’Italia, dovrebbe essere ormai impossibile, ma che purtroppo testimonia come anche chi riceve ingenti compensi per promuovere le politiche pubbliche sembri aver dimenticato le basi della nostra lingua.

E non si tratta di un caso isolato. Il compenso  di 40.000 euro annui percepiti da questi consulenti, spesso impegnati a pubblicare spot politici a favore di figure come il ministro Salvini, solleva domande più profonde sul valore reale di tali incarichi. Sono risorse pubbliche sprecate in consulenze che, più che portare benefici concreti, finiscono per alimentare un senso di smarrimento tra i cittadini, sempre più disillusi.

Il post del consulente

Ma la questione linguistica si inserisce in un contesto più ampio: l’Italia sta perdendo la sua lingua, uccisa da una scarsa attenzione alla cultura. L’italiano, che un tempo era la lingua della letteratura, del diritto e della comunicazione pubblica, sembra essere ormai relegato a un ruolo secondario, se non addirittura morto. La scena di un post pubblicato in modo approssimativo, con errori grammaticali e sintattici, diventa simbolo di questa decadenza.

Noi, di dossier quotidiano, abbiamo conservato lo screenshot di quel messaggio come monito e come testimonianza di un’Italia che, invece di investire in formazione e cultura, preferisce affidarsi a consulenze costose e poco efficaci. La domanda che ci poniamo è: “A cosa serve tutto questo?” Forse, più che consulenti specializzati, ci vorrebbero corsi di italiano per chi gestisce la comunicazione pubblica. A distanza di 21 ore da questo articolo nessuno dello staff si è accorto dell’errore.

In un momento storico in cui la nostra Repubblica dovrebbe essere un esempio di serietà e di rispetto delle istituzioni e della lingua, tutto ciò ci lascia con un senso di amarezza e di sgomento. La vera sfida è rimettere al centro la cultura, l’istruzione e il rispetto per la nostra identità, affinché i soldi pubblici non siano più sprecati in modo scandaloso.

E allora, evviva la nostra Repubblica! Ma anche, e soprattutto, viva la nostra lingua, quella che ci rende italiani nel mondo e che merita di essere difesa e valorizzata. Perché un’Italia che investe nella cultura è un’Italia che potrà davvero risollevarsi.

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