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L’editoriale del direttore
Era il 17 novembre 1992 quando un nome temuto, quello di Totò Riina, emerse da un pentito che, con la sua testimonianza, scosse le fondamenta della criminalità organizzata in Italia. Masino Buscetta, il collaboratore di giustizia più noto, rivelò dove si trovava il capo dei capi della mafia siciliana, i cui tentacoli si estendevano ben oltre lo stivale . Due mesi dopo, il 15 gennaio 1993, Riina venne arrestato a Palermo, ma le sue origini nel potere mafioso rimasero intatte, così come le dinamiche che permisero alla mafia di infiltrarsi nei meandri della società.

Le parole di Buscetta, però, non si limitavano esclusivamente a dare una posizione geografica. Sottolineò come Riina fosse rimasto sempre a Palermo così come lui praticamente sotto il naso delle autorità, difronte al Palazzo del Commissario De Luca. Per Buscetta, la mafia prosperava in parte grazie a una polizia accondiscendente che chiudeva gli occhi. Quella stessa complicità sembra permanente anche oggi in ambienti politici . Ma è possibile che i legami tra mafia e politica si siano evoluti, trasformando la violenza in investimenti e persuasione?
Oggi assistiamo a una criminalità organizzata che ha smesso di sparare, per abbracciare una strategia più sottile: quella di infiltrarsi nel tessuto economico e politico del paese. La mafia non ha più bisogno di corrompere, perché esistono già professionisti compiacenti, imprenditori in cerca di liquidità e politici disposti a chiudere un occhio per garantire consenso e vantaggi reciproci. Chiediamo: perché a ogni convention politica ci sono imprenditori che affollano le sale? Qual è il loro interesse? Come sono legati a quei politici? Ecco dove risiedono i nodi critici del nostro sistema.

In un’epoca in cui il pool di magistrati non lavorava in sinergia su un’unica direzione, la lotta contro la criminalità si fa sempre più complessa. Se oggi tutti sosteniamo che la criminalità agisca in giacca e cravatta, è necessario volgere lo sguardo verso i piani alti della politica. Come recita il proverbio: “Roma è sempre stata ladrona”, e forse, proprio da lì dovrebbe partire il nostro sguardo critico.
Troppi interessi in ballo, troppi soldi in gioco. La mafia moderna non si limita a controllare i territori attraverso minacce; essa persuade attraverso investimenti strategici. Questa trasformazione richiede una vigilanza costante, una luce accesa su quelle aree d’ombra dove il marcio prospera indisturbato. È ora di interrogarsi, di scavare in profondità e di esigere trasparenza. Solo così potremo mettere un freno a un sistema che, per troppo tempo, ha trovato rifugio nell’indifferenza e nella connivenza. La lotta è lunga e faticosa, ma è un percorso necessario per mettere fino ad un intreccio o trattativa con lo Stato.







