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Le novità emerse oggi dalla magistratura italiana rappresentano una vera e propria bomba nel panorama della libertà di stampa e della tutela dei diritti civili nel nostro Paese. Secondo quanto riferito, almeno cinque giornalisti sarebbero stati intercettati illegalmente attraverso lo spyware Graphite di Paragon, uno strumento di sorveglianza di estrema potenza e capacità, che si sarebbe rivelato un’arma di intimidazione e controllo oltre i limiti della legalità.
Tra le vittime accertate dalla procura di Roma figurano quattro giornalisti italiani, tra cui Cancellato e Pellegrino di Fanpage, noti per il loro impegno nel fare inchieste delicate e spesso scomode per le istituzioni. A questi si aggiunge un giornalista europeo, la cui identità è stata confermata da Citizen Lab, un centro di ricerca canadese specializzato in cybersecurity e diritti digitali, che ha chiesto di rimanere anonimo per motivi di sicurezza.
L’elenco si è ulteriormente ampliato con la blogger Eva Vlaardingerbroek e il noto fondatore di Dagospia, Roberto D’Agostino. La presenza di personalità così diverse, accomunate dal fatto di essere state intercettate illegalmente, solleva interrogativi gravissimi sulla trasparenza e sulla legalità delle operazioni di sorveglianza condotte dai servizi segreti italiani. È inaccettabile che giornalisti, influencer e blogger vengano spiati senza alcuna autorizzazione, compromettendo non solo la loro privacy ma anche il principio fondamentale di libertà di stampa, che dovrebbe essere garantita e tutelata in ogni democrazia.
La reazione delle istituzioni non si è fatta attendere. La presidente Giorgia Meloni e il sottosegretario Mantovano sono chiamati ad una posizione chiara e decisa. Finora, i rappresentanti del Governo hanno sostenuto la presunta estraneità dei servizi segreti italiani nell’uso dello spyware Graphite contro i giornalisti. Tuttavia, questa linea appare sempre più insostenibile di fronte alle evidenze e alle nuove testimonianze che si stanno accumulando. Se i servizi segreti italiani continuano a negare ogni coinvolgimento, spetta al Governo fornire risposte concrete: chi ha avuto accesso ai telefoni dei giornalisti? Chi ha installato lo spyware? Con quali finalità?
Il caso non può essere considerato chiuso. Anzi, si sta allargando, con nuove vittime e nuovi dettagli che emergono di ora in ora. La questione non è solo di natura tecnica o di sicurezza nazionale, ma di fondamentale importanza democratica. La sorveglianza illegale di giornalisti, se confermata, rappresenta una grave violazione dei principi di libertà di stampa e di tutela dei diritti umani, che rischia di minare le fondamenta stesse di una società democratica.
In questo contesto, diventa imprescindibile un’azione di chiarificazione e di responsabilità da parte delle autorità italiane. La trasparenza è l’unico modo per ristabilire la fiducia dei cittadini e per garantire che strumenti di sorveglianza così potenti non vengano utilizzati per scopi illeciti o per intimidire chi svolge il proprio lavoro di informazione. La vicenda solleva anche una riflessione più ampia sull’equilibrio tra sicurezza e libertà, su come le tecnologie possano essere usate in modo etico e sulla necessità di controlli rigorosi per prevenire abusi.
In conclusione, le intercettazioni illegali di giornalisti tramite lo spyware Graphite rappresentano un allarme che non può essere ignorato. La società civile, le istituzioni e la stampa devono unirsi in un fronte di denuncia e di richiesta di chiarezza, affinché la democrazia italiana possa uscire da questa crisi di fiducia con rinnovato impegno a difendere i propri valori fondamentali.
