Dell’Utri, Le carenze giuridiche dei militanti di Forza Italia e non solo. Vi raccontiamo le cose così come stanno: basta omertà, basta mistificazioni

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Domenico Panetta
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L’editoriale del direttore

In un’epoca in cui l’informazione spesso si piega alle logiche di potere e alle fazioni, noi non arretriamo di un centimetro. È nostro dovere fare chiarezza, sgomberare il campo dalle nebbie della propaganda e restituire alla verità la sua dignità. E oggi più che mai, nel clima politico e mediatico attuale, è fondamentale mettere i puntini sulle i e chiarire i rapporti tra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e le organizzazioni mafiose. Non ci facciamo ingannare dalle interpretazioni distorte, dai comunicati fuorvianti e dalle narrazioni che alimentano confusione e rancore senza fondamento giuridico.

Partiamo da un dato di fatto: la Corte di Cassazione, la più alta autorità giudiziaria italiana, non ha mai emesso una sentenza che possa essere interpretata come un’“esclusione” totale di Berlusconi da ogni legame con Dell’Utri, né ha mai affermato che quest’ultimo non abbia mai avuto rapporti con Cosa Nostra o altre organizzazioni mafiose. È una distorsione grave e irresponsabile sostenere che una pronuncia di questo tipo sia stata emessa. La decisione della Cassazione riguarda esclusivamente un procedimento di prevenzione patrimoniale – non un processo penale – e si limita a rigettare un’istanza della procura generale di Palermo riguardante i beni di Dell’Utri, perché non sono stati dimostrati i presupposti di pericolosità sociale o di provenienza mafiosa tali da giustificare la confisca.

È un errore gravissimo pensare che questa pronuncia possa essere interpretata come un’“assoluzione storica” di Dell’Utri o di Berlusconi. La decisione si inserisce in un ambito tecnico, di natura procedurale, che non riguarda né la colpevolezza né l’innocenza di qualcuno. La distinzione tra prevenzione patrimoniale e processo penale è fondamentale e troppo spesso ignorata o manipolata per fini politici o propagandistici. Fomentare questa confusione significa alimentare un’ipocrisia pericolosa, che distorce la realtà e indebolisce il senso di giustizia.

La verità giudiziaria, quella autentica, si basa su fatti certi e sulla rigorosa applicazione della legge. Per Dell’Utri, esiste una condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, inflitta il 2 gennaio 1996, e una condanna in appello a sette anni di carcere, con sentenza della Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Claudio Dall’Acqua, per i fatti sino al 1992. La Corte d’appello ha evidenziato come Dell’Utri abbia intrattenuto stretti rapporti con le organizzazioni mafiose di Stefano Bontate, Totò Riina e Bernardo Provenzano, facendo da intermediario tra le cosche e Berlusconi. Ma questa condanna, per quanto importante, non può essere trasportata acriticamente nell’ambito di un’“assoluzione” di Dell’Utri di una definitiva prova di innocenza. La recente sentenza della Cassazione riguarda esclusivamente un procedimento di prevenzione patrimoniale.

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Non ci stancheremo mai di ripetere: la giustizia, quella vera, si fonda su prove e sentenze definitive, non su interpretazioni faziose o su comunicati di parte. Noi, cittadini e giornalisti liberi, abbiamo il dovere di parlare con franchezza e coraggio. La verità giudiziaria non può e non deve essere piegata alle logiche del consenso o dell’interesse di parte. La nostra responsabilità è quella di raccontare i fatti così come sono, senza omissioni e senza mistificazioni, perché solo così possiamo contribuire a una discussione pubblica seria e fondata sulla realtà.

Chi alimenta false narrazioni, chi mistifica le sentenze e chi tenta di usare la giustizia come arma politica, merita di essere smascherato. La nostra lotta contro l’omertà, contro le false verità e contro le infamie è una battaglia di civiltà. E noi non arretriamo di un centimetro. La verità, anche quando scomoda, deve essere sempre la nostra guida.

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